Pietro Lunetto

L’associazionismo migrante italiano in Belgio. Un glorioso passato, un incerto futuro

July 27, 2024 | by pietrolunetto.info

logo-filef-grande-735×400


di Marco Grispign e Pietro Lunetto

Il volume da cui è tratto l’ articolo può’ essere scaricato gratuitamente a questo link .
L’emigrazione italiana in Belgio, in maniera non dissimile da altri paesi europei, è arrivata in flussi dislocati in un ampio arco temporale e «ha rappresentato un fatto economico e politico rilevante», come ebbe a dichiarare già nel 1929 il deputato socialista Brunfaut alla Camera belga (Morelli, 1987: 11).
Dagli arrivi di fine Ottocento, fino alla Prima guerra mondiale sono censiti circa 4.500 italiani (Gabaccia, 2000: 2-4). Tra le due guerre l’emigrazione si caratterizza per una marcata presenza di esuli antifascisti, che parteciperanno in alcuni casi anche alla Resistenza in Belgio. Nel 1938 al rilevamento della popolazione straniera in Belgio risultavano 37.134 italiani (Morelli, 1987: 31).
L’ondata successiva risale agli anni immediatamente successivi la fine del secondo conflitto mondiale, quando già nel 1946 vengono sottoscritti gli accordi passati alla storia come “uomo – carbone”. Furono alla fine tra i 60 e i 65 mila i lavoratori italiani con meno di 35 anni inviati nelle miniere del Belgio, a volte con famiglie al seguito (Morelli, 1992: 195-216).
I nuovi arrivi hanno un rallentamento dopo l’incidente nella miniera di Marcinelle e la successiva crisi dell’industria mineraria belga, per riprendere vigorosi tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento indirizzati da un lato verso le fabbriche manifatturiere (settore verso il quale si indirizza anche un significativo flusso migratorio interno di italiani precedentemente occupati nelle miniere) e dall’altro verso le istituzioni europee e l’indotto che attorno alle istituzioni fiorisce a Bruxelles, dagli uffici di rappresentanza e di lobbisti al mondo della ristorazione.
Nel 1961, come ricorda Canovi (2011: 3), gli italiani rappresentano il 44% fra gli immigrati di origine straniera in Belgio. «In altri termini, è attraverso gli italiani che il Belgio sperimenta il fenomeno massivo delle migrazioni contemporanee».
16 Un ringraziamento particolare va alla disponibilità e alle informazioni ricevute da Michele Ottati, presidente delle Acli Belgio, Luciano Corsini delle Associazioni Internazionali Federate (Aif) e Noemi Del Vecchio coordinatrice del gruppo informale Purple Square Bruxelles.
Infine, anche per il Belgio i flussi si riducono significativamente a partire dagli anni Ottanta, quando l’Italia da paese di emigranti diviene un paese di immigrati, fino alla ripresa di una consistente “nuova emigrazione” dopo la crisi dei mutui
subprime negli USA che investe anche l’Europa, negli anni 2009-2010.

I primi tentativi associativi
Punto di partenza per un breve excursus sull’associazionismo italiano in Belgio dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, è l’interessante lavoro di Dario Carta su questo tema (2016: 57-69).
In particolare, Carta ricorda il ruolo centrale e fondamentale dell’associazionismo cattolico nel sostenere la nascita e lo sviluppo delle prime associazioni di italiani in Belgio. Dalle prime e frammentarie informazioni sulla presenza di religiosi italiani nel comprensorio di Liegi a metà Ottocento e la fondazione, nel 1891, a Bruxelles della prima società di mutuo soccorso, allo sviluppo, tra il 1945 e il 1946, di 23 organizzazioni emanazione dell’attivismo cattolico, tra cui 6 missioni
cattoliche e 15 sedi delle associazioni Acli (MAE, 1980). Proprio il ruolo delle Missioni cattoliche italiane è fondamentale per il radicarsi di queste associazioni «il cui obiettivo prioritario è quello di tipo assistenzialistico» (Carta, 2016: 58).
L’egemonia dell’associazionismo cattolico negli anni dell’accordo “uomo-carbone” è legata, oltre alla significativa presenza del mondo cattolico nella realtà politica e culturale belga, dalla libertà di agire “liberamente” per i cattolici, negata invece ai comunisti. In questi anni, segnati dal massiccio afflusso di migranti italiani che lavorano nei vari bacini minerari belgi (Limburgo, Hainaut e Liegi), “l’attenzione” della polizia contro la “propaganda” comunista è particolarmente severa; numerose sono sia le espulsioni che gli interventi per impedire riunioni o sciogliere associazioni sospettate di simpatie comuniste.
In questo quadro, con l’appoggio del sindacato cattolico belga CSC (Confédération des syndicats chrétiens), ma soprattutto delle Missioni cattoliche italiane, che spesso offrono i loro locali come sedi delle nuove associazioni (Rubattu, 2005: 9), nascono i primi circoli di associazioni Acli che avranno una notevole espansione nel corso degli anni Sessanta del Novecento. Il “monopolio” dell’associazionismo cattolico viene incrinato dapprima alla metà degli anni Cinquanta, quando nel 1954 viene fondato a Bruxelles l’ufficio italiano del patronato INCA, legato al sindacato di sinistra italiano CGIL, ma poi in maniera più significativa nella prima metà degli anni Sessanta con la nascita di diverse organizzazioni, tra cui la Leonardo da Vinci di Seraing, le Associazioni famiglie italiane (AFI) nel Limburgo, entrambe ancora esistenti, e le Amitiés italo-belges nella provincia dell’Hainaut.
L’effervescenza dell’associazionismo italiano in Belgio è confermata anche dal fatto che il 24 gennaio 1960 alcune associazioni organizzano il primo convegno di studi sui problemi dell’emigrazione italiana, nel corso del quale viene elaborato un memorandum che contiene la richiesta del riconoscimento della silicosi come malattia professionale (Carta, 2016: 61).
Nel corso degli anni Sessanta l’egemonia cattolica sul mondo dell’associazionismo italiano in Belgio non viene messa in dubbio solo dalla nascita e sviluppo di associazioni chiaramente legate al mondo della sinistra politica, ma anche da
una significativa presenza di diverse organizzazioni di “campanile”, cioè quelle associazioni che vedono elemento fondante l’appartenenza a una regione, provincia o comune. Questa corrente dell’associazionismo, che sarà particolarmente
significativa dopo il 1970 con la nascita delle Regioni, in Belgio muove i primi passi in anticipo con le associazioni legate alle Regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia), dove con la creazione di fondi specifici di assistenza agli emigranti, queste Regioni offrono diversi aiuti economici per le organizzazioni delle attività.
Questo ramo dell’associazionismo, che teoricamente apolitico in realtà in alcuni casi è segnato dalle divisioni politiche con la nascita nelle stesse città di differenti associazioni “locali”, cresce in maniera ancor più significativa dopo il 1970, anche se, come ricorda sempre Carta, «con modi e toni che variano in base alla regione di appartenenza. Questa spinta propulsiva è determinata da un lato perché le competenze in materia di emigrazione vengono decentrate alle Regioni disponendo quindi di fondi per finanziare associazioni e iniziative, dall’altro perché si diffondono associazioni che puntano all’aggregazione dei soci sulla base della provenienza geografica regionale, e non più quindi solamente provinciale o paesana, superando perciò i provincialismi insiti in molte associazioni» (Carta, 2016: 63).
Con gli anni Settanta si assiste a una significativa mutazione nel mondo dell’associazionismo italiano in Belgio: la conquista di alcuni diritti fondamentali e una maggiore integrazione nel tessuto sociale e politico belga riduce il peso e la rilevanza dell’aspetto assistenziale e mutualistico dell’associazionismo, parallelamente alla crescita del numero di associazioni che si occupano principalmente del “tempo libero” (aspetti ludici, sportivi e culturali) e di quelle più direttamente legate alla “militanza politica-sociale” (Carta, 2016: 63).
Le associazioni italiane che nascono in questo periodo sono quindi totalmente “figlie” di un clima che dopo il 1968 vede una forte crescita di mobilitazione sociale e di partecipazione nelle società europee. Associazioni belghe e di immigrati lanciano fra l’altro una battaglia politica (Objectif 82) «con lo scopo di ottenere il diritto di voto ed eleggibilità dei cittadini non belgi in previsione delle elezioni [comunali] del 1982» (Carta, 2016: 63-64).
Un’altra caratteristica dell’associazionismo italiano in Belgio negli anni Settanta è la nascita di numerose associazioni nell’area di Bruxelles. Come già detto, in questi anni la presenza degli italiani nella capitale belga cresce in maniera
significativa, sia per l’arrivo di nuovi emigrati attirati dalla crescita della “bolla europea”, compreso il suo indotto, che per il trasferimento di moltissimi lavoratori che, chiuse le miniere, cercano lavoro nella manifattura nei dintorni dell’area di Bruxelles che in quegli anni è ancora circondata, nei comuni del nord-ovest, da grandi fabbriche (il comune di Molenbeek per esempio, era chiamato la “piccola Manchester”). Dal 1947 al 1961 gli italiani a Bruxelles passano dai poco più di 5.400 a oltre 12 mila, per poi raggiungere nel 1970 la cifra di 28 mila e di quasi 36 mila nel 1981 (Renaudin, 2016).

Alla metà degli anni Settanta nascono a Bruxelles il Casi-Uo (Centro azione sociale italiano-Università operaia), ancora oggi esistente e molto attivo, di area della sinistra democratica e l’associazione Galileo Galilei, aderente alla FILEF e di area comunista. La nascita di diverse associazioni di italiani a Bruxelles non è solo legata al crescere del numero di nostri connazionali, specialmente in alcuni comuni della regione di Bruxelles – esemplare il comune di Anderlecht dove «troviamo il Centro di azione sociale (Casi), l’associazione di siciliani Trinacria, vicina al PCI, un circolo Acli, una Missione cattolica italiana, più vari locali gestiti da italiani» (Carta, 2016: 66) – ma anche al fatto che nella capitale belga, che diviene ormai la capitale d’Europa, si aprono sedi di associazioni nazionali che si occupano di emigrazione, come la Filef, l’Unaie e la Ferdinando Santi. Sarà questo un fenomeno che ritroveremo parlando della situazione odierna dell’associazionismo italiano in Belgio e nello specifico a Bruxelles.
Nel 1984 si contavano ancora circa 300 associazioni di italiani in Belgio, ma già negli anni Novanta si manifesta un forte declino del mondo associativo, dovuto all’integrazione nel tessuto associativo belga degli immigrati storici e delle seconde generazioni, da una trasformazione dei nuovi arrivi degli anni Ottanta, con una quota significativa di funzionari per le istituzioni europee, e più in generale da una forte diminuzione dei flussi in arrivo in Belgio tra gli anni 1980 e 2005.
Più in generale, con il fine secolo e il cambio di clima politico e sociale che attraversa l’intero Occidente, è proprio l’idea di “associazione” a entrare in crisi. Sono gli anni di un sempre più forte individualismo, quelli del mantra thatcheriano “la società non esiste”. In questo clima l’associazionismo italiano all’estero non può che deperire rapidamente. In una ricerca dei primi anni Novanta, Marco Martiniello (1992: 153) stimava che soltanto il 10% dell’intera popolazione italiana in Belgio avesse mai partecipato alle attività associative.
La fine del sistema politico italiano con la crisi e la scomparsa dei due grandi partiti di massa che l’avevano caratterizzato, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, ha conseguenze anche rispetto al mondo dell’associazionismo all’estero che i due partiti avevano curato con estrema attenzione e con significative risorse finanziarie vista la rilevanza numerica dell’emigrazione italiana. La grande crisi economica, esplosa negli Usa e poi giunta alla fine degli anni Zero in Europa, sembra però cambiare, almeno parzialmente, la situazione.
L’impetuosa ripresa dei flussi migratori dall’Italia, ma anche dagli altri paesi europei del Mediterraneo, con caratteristiche per molti versi profondamente differenti da quelle “classiche” dell’emigrazione italiana, modifica la composizione sociale, le culture, le aspettative degli italiani in Belgio e questo, inevitabilmente, ha ricadute profonde sulla rete superstite dell’associazionismo “storico” e sulle caratteristiche di un “nuovo” associazionismo che inizia ad assumere una certa rilevanza nel panorama belga.


L’associazionismo italiano in Belgio oggi
Per questa seconda parte del nostro saggio le principali fonti, a parte l’esperienza diretta di chi scrive – facciamo parte da diversi anni dell’associazione FILEF – Nuova Emigrazione attiva a Bruxelles – e alcune interviste per approfondire situazioni specifiche fuori Bruxelles, sono stati due lavori: la ricerca a cura del FAIM (Forum delle associazioni italiane nel mondo), L’associazionismo dell’emigrazione italiana in transizione (Angrisano, Caldarini, Caltabiano, Di Gregorio e Moffa, 2022) e quella del Casi-Uo L’associazionismo italiano a Bruxelles (2023).
Per cercare di delineare un quadro dell’associazionismo italiano in Belgio in questi anni è necessario partire da alcune delle caratteristiche dei nuovi flussi migratori che dall’Italia sono giunti in Belgio.
La letteratura sulle caratteristiche di “quelli che se ne vanno” (Pugliese, 2018) dall’Italia inizia a essere consistente. Anche per il Belgio ci sono già un discreto numero di studi e ricerche (Casi-Uo, 2022; Grispigni e Lunetto, 2021 e 2023; Martiniello, Mazzola e Rea 2017; Morelli, 2016). Il Myria, il Centro Federale Migrazioni, un’istituzione pubblica indipendente belga che analizza le migrazioni e difende i diritti degli stranieri, prende atto di alcune delle caratteristiche che differenziano questa nuova emigrazione italiana da quella storica.
«Mentre il numero di arrivi [in Belgio] fluttuava entro i 2.000 e i 3.000 tra il 1981 e il 2007, le immigrazioni dall’Italia sono arrivate a 4.500 nel 2008 e a 6.900 nel 2014 […]. Rispetto agli antichi flussi migratori provenienti dall’Italia, quello che avviene dopo il 2007-2008 dall’Italia verso il resto del mondo presenta caratteristiche differenti: una composizione sociale più diversificata, un livello di istruzione più elevato, un’origine principalmente urbana e un numero praticamente uguale di donne
e di uomini» (Myriatics, 2016).
Questi nuovi arrivi si dirigono principalmente verso Bruxelles dove oltre il 40% dei residenti italiani è arrivato solo dopo il 1999, mentre fra i nostri connazionali residenti in Vallonia e nelle Fiandre, la larga maggioranza (in alcune zone fino a
oltre l’80%) è arrivata in Belgio prima del 1980. Insieme a quelle citate dal Myria, ci sono alcune altre caratteristiche di questi nuovi flussi che segnano una discontinuità con il passato.
La prima è quella demografica: i nuovi flussi sono composti in larga parte da giovani, uomini e donne tra i 20 e i 40 anni. Questa caratteristica deve essere tenuta in conto per comprendere, come sottolinea Enrico Pugliese, valori, bisogni e aspettative di chi spesso si definisce “espatriato” più che emigrante.
«Per quel che riguarda invece gli elementi di novità che caratterizzano il quadro attuale il più importante è quello demografico: nell’universo dell’emigrazione italiana i giovani presentano oggi una maggior incidenza rispetto al passato. Il che è dovuto alle caratteristiche della nuova ondata migratoria in atto ormai da un paio di decenni.
E naturalmente quando si parla di giovani si fa riferimento a soggetti portatori di specifiche e nuove aspettative nonché di nuovi valori e stili di vita. Il tutto è ulteriormente complicato dal fatto che i giovani presenti nell’emigrazione italiana oggi non sono solo i nuovi arrivati ma anche i figli, nipoti e pronipoti dei protagonisti delle migrazioni del passato. Gli uni e gli altri hanno in comune la lontananza da (e lo scarso interesse per) le associazioni “storiche” e i contenuti delle loro attività» (Pugliese, 2022: 8).
Sempre Pugliese osserva come questo elemento sia fondamentale per comprendere i “bisogni” degli italiani all’estero: non più assistenza e aiuto ma «bisogni che afferiscono alla sfera culturale e alla questione dell’identità» (Pugliese, 2022: 11).
L’altra caratteristica fondamentale dei nuovi flussi è il concetto e la pratica concreta della mobilità nell’esperienza migratoria, strettamente legata alla precarietà delle situazioni lavorative. Abbandonare l’Italia, pur se spesso resta un’esperienza dolorosa di “distacco”, una “costrizione”, è oggi normalmente una scelta di vita “volontaria”, «nella speranza di trovare migliori opportunità di lavoro e di vita per sé stessi e per i propri affetti» (Caldarini, Di Gregorio e Moffa, 2022: 27). Tanto che alcuni studiosi parlano per il caso italiano di “diaspora del lavoro”. Questa caratteristica della mobilità sarà fondamentale per comprendere le difficoltà di rilancio dell’associazionismo italiano in Belgio con a volte una vera e propria incomunicabilità tra rappresentanti della “vecchia” e della “nuova” emigrazione.
Legata al concetto di mobilità c’è un’ultima caratteristica che rende differenti i nuovi flussi migratori da quelli storici: per la prima volta gran parte di chi espatria è già stato all’estero, specialmente per quanto riguarda i flussi migratori verso i
paesi europei. Questa caratteristica rende molto più importante il ruolo del gruppo dei pari nel formarsi della catena migratoria piuttosto del reticolo parentale o geografico (nel senso del reticolo formato da compaesani).
In termini generali la nostra sensazione è che se fino alla crisi degli anni Ottanta, l’associazionismo italiano in Belgio poteva essere rappresentato dalla “classica” tripartizione proposta per le associazioni da Enrico Pugliese, l’associazionismo di natura religiosa, in particolare cattolico, l’associazionismo rappresentativo e l’associazionismo territoriale (Pugliese, 2018: 91), oggi questa tripartizione non sembra più capace di rappresentare l’universo associativo italiano in Belgio.
A noi sembra infatti che siano ormai altri i tratti caratteristici della situazione. La prima, e forse la più importante, è la differenza tra Bruxelles e il resto del Belgio. Vedremo in seguito anche la consistenza “ufficiale” delle associazioni censite dal Consolato, ma quello che ci sembra chiaro, e in qualche modo coerente con l’indirizzarsi dei nuovi arrivi sul territorio belga cui abbiamo fatto riferimento, è il carattere per molti versi di “resistenza” dell’associazionismo fuori Bruxelles e quello invece parzialmente influenzato dalle caratteristiche dei “nuovi arrivati” nella capitale belga. «Bruxelles dista solo 70 km da Charleroi, e tuttavia queste due città raccontano storie di due diverse emigrazioni in Belgio, che forse non si incontrano mai» (Caldarini, Di Gregorio, Moffa 2022, 33).
L’associazionismo italiano nella capitale sembra in qualche modo attraversato dall’impatto con la nuova emigrazione: la nascita di associazioni spesso di breve durata perché breve è il tempo di permanenza a Bruxelles di chi si attiva per costituirle; la centralità di tematiche legate al tema generale delle migrazioni con un’attenzione forte nei confronti di chi arriva dai paesi extraeuropei e contro le politiche della “fortezza Europa”; l’attenzione e l’utilizzo dei social nella vita delle associazioni sono alcune delle caratteristiche che si ritrovano nelle associazioni presenti sul territorio bruxellese e che per la loro “volatilità” spesso non sono censite negli elenchi “ufficiali” dell’associazionismo.
Al contrario l’associazionismo italiano fuori dalla capitale appare caratterizzato principalmente da alcune associazioni “storiche” che “resistono” ai cambiamenti della società, alla ormai completa integrazione dell’antica emigrazione e delle seconde e terze generazioni che si sono susseguite, oltre che all’inevitabile scorrere del tempo con l’uscita di scena dei protagonisti dell’associazionismo degli anni Cinquanta e Sessanta. Questa differenza, a nostro avviso, è una conseguenza diretta dei flussi migratori che giungono in Belgio. Mentre per quelli che si dirigono a Bruxelles la catena migratoria si basa principalmente sul gruppo dei pari e in modo specifico sull’associazionismo in rete, per i nuovi arrivi nel Limburgo come nell’Hainaut sembra funzionare ancora la catena migratoria parentale o tra compaesani.
Più in generale, le caratteristiche tipiche dell’associazionismo italiano all’estero non sembrano poter svolgere quel ruolo di collante per i nuovi arrivati che avevano avuto dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta del secolo scorso. Oggi le migrazioni intra-europee si svolgono in un quadro istituzionale ben consolidato; gli italiani che giungono in Belgio non hanno problemi di “inserimento” e “accettazione” assolutamente comparabili con quelli di chi arrivò ad esempio con gli accordi “uomo–carbone”. I titoli di studio sono più facilmente riconosciuti, nessuno accusa gli italiani, e in genere gli europei, che giungono in Belgio di essere “migranti economici” che rubano lavoro e risorse dello stato sociale ai “nativi belgi”.
In questa situazione il ruolo fondamentale di assistenza, di protezione e di inserimento che l’associazionismo svolse ha meno senso, specialmente a Bruxelles, mentre mantiene in alcuni casi una certa importanza per chi arriva in Vallonia e nelle Fiandre. I bisogni degli italiani e delle italiane che vivono, lavorano e studiano qui in Belgio non sono differenti da quelli di chi in Belgio è nato oppure è arrivato da un altro paese europeo.
Lo stesso vale per l’associazionismo di tipo territoriale: quale attrazione può esercitare oggi il riconoscersi in quanto siciliano, pugliese o calabrese per un ragazzo o una ragazza che giungono a Bruxelles, parlando spesso già un’altra lingua oltre all’italiano, avendo già visitato diversi paesi europei e magari in qualcuno di questi passati alcuni anni di studio o di primi lavori precari?
In ogni caso, pur in questo contesto assolutamente non favorevole allo sviluppo o alla tenuta di una rete di associazionismo italiano, le associazioni in Belgio ancora esistono. Per avere un quadro più preciso della situazione odierna siamo partiti dall’elenco delle associazioni del Consolato che è sostanzialmente, con pochissime aggiunte, uguale alla lista delle associazioni censite per il Belgio nel quadro della ricerca a cura del FAIM ” L’associazionismo dell’emigrazione italiana
in transizione.” Secondo questa lista le associazioni attive attualmente in Belgio sono 110, distribuite sul territorio in questa maniera.

Regione Provincia Città N. associazioni
Fiandre Limburgo Genk 34
Hasselt 1
Beringen 3
Heusden Zolder 2
Houthalen – Helchteren 2
Massmechelen 9
Vallonia Hainaut Charleroi 7
La Louvière / Manage 4
Strepy Bracquegnies 1
Saint Vaast 1
Jemappes 2
Soignies 1
Thulin 1
Liegi Saint Nicolas 2
Seraing 2
Liegi 3
Grace Hollogne 1
Flemalle 1
Ans 1
Brabante Vallone Tubize 4
Bruxelles 28

Da un punto di vista geografico non ci sono grandi sorprese: le associazioni italiane sembrano essere presenti nei luoghi storici dell’emigrazione italiana dal secondo dopoguerra, i bacini minerari e industriali del Limburgo, dell’Hainaut e di Liegi e, logicamente, nella capitale Bruxelles. Al contrario non abbiamo nessuna notizia di associazioni italiane in altri centri belgi interessati dal turismo e verso i quali si segnala l’arrivo di “nuovi” italiani, come Anversa, Gand, Bruges (fatta eccezione per le associazioni del circuito della Dante Alighieri, che però hanno un obiettivo di coinvolgimento degli italofoni belgi e non
degli italiani in senso stretto).
Scorrendo la lista di queste associazioni (in appendice) emerge chiaramente il netto predominio di quelle a carattere regionale che rappresentano quasi la metà delle associazioni (45 su 110). Fra le altre, seguendo le categorie proposte da Michele Colucci (2008: 69-86), c’è un discreto numero di associazioni, religiose e laiche, “assistenziali” (l’universo dei segretariati, dei patronati, delle strutture sociali e sanitarie, delle associazioni dedicate all’assistenza della terza età, dei gruppi
legati ai sindacati e al mondo del lavoro e della previdenza sociale e alla scuola) e quelle “culturali” (biblioteche e promozione della lingua e della cultura italiane, ma anche i dopolavoro). A queste si aggiungono le associazioni che sono sezioni locali all’estero di associazioni nazionali (come l’ANPI, l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, la FILEF), fenomeno in espansione e ancora non recepito pienamente da queste liste “ufficiali” (a Bruxelles, per esempio, sono attive ormai da qualche anno “sezioni locali” di Emergency e dell’ARCI).
Tra le associazioni “assistenziali” un discorso a parte lo meritano le Acli, che secondo la lista “ufficiale” del Consolato presentano ancora oggi 11 sezioni sul territorio belga (in realtà sezioni delle Acli, non riprese nella lista “ufficiale”, sono presenti anche a Liegi, Charleroi, La Louvière e Mons). Come abbiamo visto in precedenza la presenza delle Acli accompagna la crescita dell’immigrazione italiana in Belgio fin dai primi anni del secondo dopoguerra.
Le Acli odierne sono però un’associazione profondamente differente da quella del 1946 che aveva il compito di “assistere” i minatori italiani e “frenare” la possibile presenza comunista. Oggi le Acli, oltre a continuare a svolgere la loro funzione di patronato, non hanno più stretti legami con altre associazioni cristiane e cattoliche e al contrario, specialmente nelle Fiandre, dove normalmente sono “proprietarie” dei locali nei quali svolgono le loro attività, sono impegnate in un lavoro di educazione alla multiculturalità in collaborazione con associazioni fiamminghe e di immigrati non italiani. Esemplare in questo senso è la nascita, nel 2009, dell’associazione socioculturale Feniks che punta a forme di collaborazione fra gruppi autorganizzati e associazioni senza “distinzioni di origine, cultura, religione o genere”.
Rispetto alla lista “ufficiale” delle associazioni italiane in Belgio che, pur in anni di difficoltà per l’associazionismo italiano all’estero, sembrerebbe segnalare una consistenza e radicamento abbastanza significativo, soprattutto fuori Bruxelles,
c’è un interrogativo da porsi. Parliamo della differenza fra l’esistenza “ufficiale” di queste associazioni, cosa che significa, per esempio, in alcune aree territoriali accedere a finanziamenti locali e a livello di “sistema Italia” partecipare ad alcune consultazioni, come quelle per l’elezione dei membri del CGIE, e l’esistenza “reale” di queste associazioni, il loro essere attive e la loro capacità di essere ancora punto di riferimento per i nostri connazionali all’estero e magari anche per i “nuovi arrivati”.
Nelle Fiandre, il numero elevato di associazioni censite è sicuramente legato alla resistenza di una rete sviluppatasi nell’immediato dopoguerra, anche grazie al fatto che la Regione fiamminga del Belgio ha avuto da sempre un’attenzione
alta al mondo dell’associazionismo come strumento di integrazione. Questo ha portato a un robusto sistema di supporto economico, che ha favorito la nascita e la resilienza delle associazioni in quel territorio. Di contro, il periodo pandemico e
la nuova regolamentazione nazionale sulle associazioni senza fine di lucro – che equipara le associazioni a piccolo imprese in termini amministrativi – stanno avendo un effetto di diminuzione delle realtà esistenti e meno attive.
Per cercare di comprendere meglio abbiamo scelto di utilizzare il web, lanciando una ricerca utilizzando il nome dell’associazione. Siamo consapevoli che la vita “reale” non inizia e finisce nella rete e che la presenza sui social non è l’unica maniera di esistere. Inoltre, è evidente che parlando spesso di associazioni “storiche” che sono ancora attive, normalmente gli animatori di queste società non sono “nativi digitali” e il loro modus operandi non è legato all’uso dei social. Nonostante
tutte le riserve questa piccola ricerca ci è sembrata una maniera semplice e utile per avere un quadro della situazione più chiaro.
Per una trentina delle associazioni della lista, la ricerca non dà alcun risultato. Per un’altra trentina ci sono notizie relative ad attività oppure pagine Facebook ferme a prima degli anni 2020 e poi, specie per diverse associazioni di Genk, la città belga con più associazioni, ci sono pagine in rete dedicate all’associazione senza nessuna notizia e solo l’home page, tutte uguali, come se ci fosse stata una campagna di apertura di siti, a conferma “dell’esistenza in vita”, ma poi nessuna attività è stata riportata su queste pagine.

Infine, ci sono associazioni la cui ricerca rimanda alla pagina dell’organizzazione nazionale (ad esempio l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci Italiani del Belgio), ma senza nessuna notizia sulla sezione locale presente nella lista del
Consolato. Quindi, se la mancata presenza di informazioni sul web può essere considerato un indicatore significativo rispetto all’attività dell’associazione, una buona metà delle associazioni riportate nella lista ufficiale sembrerebbe “dormiente”, se non direttamente non più esistente.
Veniamo ora alla situazione associativa a Bruxelles, dove l’impatto con i nuovi flussi migratori è sicuramente più visibile. Un primo appunto: anche per l’area della capitale la semplice ricerca di notizie sulle associazioni nel web ci darebbe per circa un terzo delle associazioni un carattere “dormiente”, con nessuna notizia oppure informazioni legate ad attività di più di cinque, sei anni fa.
Nella ricerca del Casi-Uo sull’associazionismo a Bruxelles, portata avanti con una serie di interviste a rappresentanti di 12 differenti associazioni, ci si interroga giustamente su quello che sembra essere un cambiamento fondamentale nel
ruolo delle associazioni e nel loro rapporto con le istituzioni.
Riprendendo le sollecitazioni di un lavoro del Collectif 21 (2022) si sottolinean come ormai da alcuni anni «il rapporto tra enti pubblici e associazionismo si sta oggi orientando verso un modello chiamato “call for projects”. Da un lato, lo Stato è il committente, padrone della definizione di problemi, obiettivi e mezzi. Dall’altro lato, le associazioni sarebbero svuotate della loro autonomia e sarebbero rinchiuse in una dannosa concorrenza orizzontale (una concorrenza accentuata anche dalla
riduzione della spesa pubblica e dei sussidi)» (Casi-Uo, 2023: 7).
Questo rapporto con gli enti pubblici, senza negare gli aspetti negativi sottolineati dal lavoro del Collectif 21, sembra per molti versi necessario per la sopravvivenza stessa delle associazioni.
La scomparsa dei grandi partiti di massa che investivano somme significative nella creazione e nel mantenimento di una rete associativa, la scarsità di risorse messe a disposizione delle associazioni dal “sistema Italia”, il cambiamento din cultura e mentalità che ha ridotto in maniera significativa la “disponibilità” al lavoro associativo volontario (un tempo si sarebbe chiamata “militanza”), rende necessario a gran parte delle associazioni tentare la strada dei progetti finanziati, per piccole somme, dalle varie articolazioni amministrative dello Stato belga.
Questo cambiamento sembra essere una sorta di “parente povero” di quel fenomeno osservato alla fine del XX secolo con la diffusione «di un associazionismo economico di alto livello, che interviene nei processi di import-export tra l’Italia e
l’estero attraverso la realizzazione di consorzi, società, strutture finanziarie volte a tutelare i marchi italiani e a promuoverne la commercializzazione nei mercati mondiali» (Prencipe, 2019: 10).
D’altronde questo è sostanzialmente stato il ruolo pensato negli anni della “seconda Repubblica” da gran parte dei governi per gli “italiani all’estero”: “testimoni del made in Italy”.
Come forma di “resistenza” a questa commercializzazione a livello di grandi marchi, oggi fra le associazioni presenti a Bruxelles si distingue Cultura contro camorra con il suo gruppo di acquisto solidale che distribuisce e sostiene i produttori di beni frutto di lotte sociali (beni confiscati ad organizzazioni criminali, fabbriche rilevate dai lavoratori di un’azienda delocalizzata).
Ma torniamo alla lista “ufficiale” delle associazioni presenti a Bruxelles. Anche in questo caso, come per quelle fuori dalla capitale, troviamo per lo più associazioni fondate negli anni passati. Al contrario, anche per la nostra esperienza diretta, noi sappiamo che all’arrivo dei primi flussi di nuova emigrazione, si assiste a un nascere di nuove organizzazioni, sia formalmente costituite in associazione che in gruppi informali. Spesso con una vita breve e sottoposte a diverse trasformazioni, cosa che le distingue dalle associazioni storiche, queste associazioni si sono arricchite con la nascita di nuove associazioni regionali (su impulso di un minimo rinnovato interesse di alcune regioni che hanno ricostituito le consulte regionali dell’emigrazione) e di gruppi informali di interesse come gruppi di lettura per adulti e bambini, gruppi che organizzano incontri nei parchi o per organizzare uscite ricreative per giovani e non.
Un esempio paradigmatico di queste nuove forme di associazionismo informale è quello di Purple Square Bruxelles, un gruppo di lettura formato soprattutto da nuovi/e arrivati/e, nato intorno all’opera della scrittrice Michela Murgia, dopo
la sua prematura scomparsa.
Più in generale, osservando altri esempi simili, queste aggregazioni che si formano su un obiettivo specifico e, spesso, come risultato di un qualche fatto o evento accaduto in Italia, non esprimono un’ostilità di principio a collegarsi con le realtà associative consolidate ed esistenti; anzi in qualche modo nelle fasi iniziali, il supporto e l’esperienza su diversi punti pratici è accettato di buon grado, ma poi si preferisce restare autonomi piuttosto che inserire la propria attività all’interno di quelle dell’associazione. Casi simili sono stati nel tempo il comitato di supporto a Mimmo Lucano o a persone arrestate ingiustamente per lotte sociali svolte in Italia.
Se guardiamo all’insieme delle associazioni presenti nella capitale belga, a nostro avviso possono essere distinte in due grandi filoni: quello culturale e quello più direttamente politico. Fra le iniziative culturali ci sono quelle tese a favorire una maggiore conoscenza del territorio di Bruxelles e delle sue problematiche urbanistiche, e sociali con particolare attenzione alla storia delle varie immigrazioni in Belgio, e quelle che invece si concentrano sull’identità italiana, con le già citate letture in italiano per bambini, i gruppi di lettura tra adulti e i cineforum su vari aspetti della storia recente italiana.
Tra le iniziative politiche, ci piace sottolineare quelle che da ormai tre anni sono organizzate da un coordinamento tra una serie di associazioni, riconducibili a una generica e frastagliata area progressista e sicuramente antifascista, che sembra rompere con una tradizione storica di “scarsa collaborazione” all’interno della comunità di italiani a Bruxelles: fanno parte di questo coordinamento associazioni “storiche” come Casi–Uo, Filef Nuova Emigrazione, Cultura contro camorra, le sezioni di Bruxelles di associazioni nazionali come ANPI, ARCI, Itaca (associazione legata all’Inca-Cgil), Emergency, e nuove associazioni nate negli ultimi anni come Aprite i porti, Radio NFO – No Fade Out, Radio MIR, Medeber Teatro.

Tra le iniziative organizzate da questo coordinamento di associazioni ricordiamo la due giorni di solidarietà nel 2021 con Mimmo Lucano, con la proiezione del film Un paese di Calabria; la proiezione nel 2023 del documentario E tu come stai
sulla lotta degli operai della GKN di Firenze, seguita il giorno successivo da un dibattito, con la presenza degli autori del documentario sulle lotte operaie in Italia e in Belgio; i sit-in davanti alle Istituzioni europee e al Consolato italiano contro
gli accordi con la Libia per “frenare” i flussi migratori nel Mediterraneo.
Queste associazioni, che mostrano ancora un notevole attivismo e una buona capacità di intercettare alcuni dei flussi della nuova emigrazione, spesso però devono fare i conti con la scarsità di risorse. Giustamente il Casi-Uo nella sua ricerca sull’associazionismo a Bruxelles pone alcuni aspetti “materiali” (l’esistenza di una sede, in affitto o di proprietà, o no, oppure la presenza di personale retribuito), come un elemento fondamentale nella distinzione fra le varie associazioni bruxellesi, a fianco alle distinzioni classiche (obiettivi, attività, carattere laico o religioso).
Ma come abbiamo già accennato in precedenza quando parliamo di associazionismo oggi a Bruxelles, non si può non parlare dell’associazionismo di rete, cioè quelle pagine Facebook e siti online fondamentali nel “preparare l’espatrio” e, una volta arrivati, per raccogliere informazioni, conoscere persone, costruire eventi.
Se questi siti sulla rete a volte contribuiscono a una sorta di “smaterializzazione territoriale” è per altro vero che esistono una molteplicità di siti che a specifiche realtà territoriali fanno riferimento. Italiani in Belgio è un gruppo con una pagina Facebook con più di undicimila iscritti; Italiani a Bruxelles, forse il gruppo più famoso, ne ha più di trentasettemila. Su queste pagine si cerca e si offre lavoro, si cercano informazioni su determinati quartieri o zone del paese, su case in affitto, si offrono o si cercano servizi vari (traslochi, trasporti, baby-sitter), si pubblicizzano eventi vari culturali. Un turbinio di informazioni, una fonte di notizie (come sempre da verificare con attenzione) che non trova riscontri.
D’altra parte, dove qualcuno/a che ha intenzione di trasferirsi in Belgio potrebbe recuperare rapidamente, e in italiano, qualche informazione prima di partire? E dove, sempre per esempio, un nuovo/a arrivato/a potrebbe ottenere informazioni su come prendere la residenza in uno dei Comuni della Regione di Bruxelles, o iscrivere i figli alla scuola?
Il sito ufficiale dell’Ambasciata d’Italia a Bruxelles contiene esclusivamente informazioni sui servizi amministrativi e le iniziative culturali dei propri uffici. Dopo un quindicennio di ripresa, a volte tumultuosa, del numero di nuovi arrivi non si è mai preso in conto l’ipotesi di aggiornare il sito aggiungendo una sezione dedicata ai “nuovi arrivati”, con alcune rapide informazioni e la presenza di link che rinviano alle differenti pagine dell’amministrazione belga.
La comunicazione istituzionale resta ripiegata su sé stessa con una totale incapacità di rapportarsi a una realtà profondamente cambiata. Del resto, lo stesso discorso si potrebbe fare per l’intera struttura pensata e sviluppata nel corso degli anni per “rappresentare gli italiani all’estero”, partendo dai Comites e passando per il Cgie per arrivare ai parlamentari eletti nelle circoscrizioni estere alla Camera e al Senato. Ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano dal cuore di
questo breve saggio, una fotografia dell’associazionismo migrante in Belgio.

RELATED POSTS

View all

view all